CAPRÒ: scritto da Vincenzo Mambella. Con Edoardo Oliva, che ne cura anche la regia. Effetti sonori a cura di Globster.
Con quattro repliche (giovedì 25, venerdì 26 e sabato 27 febbraio alle 21; domenica 28 febbraio alle 18), allo Spazio Matta di Pescara il Teatro Immediato porta in scena la sua nuova produzione originale, dal nome misterioso ed evocativo, come altamente misteriosa ed evocativa è la vicenda narrata:”Caprò”.
Il 17 marzo 1891 un bastimento inglese ribattezzato poeticamente “Utopia”, partito da Trieste per raggiungere l’America, dopo due soste intermedie a Palermo e Napoli si inabissa davanti alla baia di Gibilterra dopo la collisione con il rostro della corazzata Anson, ormeggiata nel porto.
Nella fase di attracco una manovra errata del comandante, favorita dalle pessime condizioni del tempo, provoca l’impatto, che apre una falla fatale. L’affondamento è rapido e provoca la morte di quasi 600 viaggiatori di terza classe, perlopiù contadini, italiani che nell’emigrazione vagheggiavano una possibilità di riscatto e di benessere.
E tra questi c’erano 14 abruzzesi provenienti da Fraine, in provincia di Chieti.
La Nave Utopia (potente già il nome, perfetto per quel tempo di aneliti di socialismo e progresso e liberazione delle masse) affondò in 20 minuti.
Anche se la tragedia non conobbe la medesima risonanza del Titanic, alcuni storici e ricercatori sono riusciti nel tempo a conferire perlomeno la dignità di un nome e di un cognome ai dispersi di quella sciagura“minore”, per consegnarli alla storia.
Quella, però, che non rompe completamente il muro dell’oblio. Quella che non approda sui libri di scuola. Quella che nel suo “giro di do” inghiotte le piccole storie delle tante trascurabili vite di cui si nutre.
Caprò è l’immagine, senza nessuna pretesa storica o simbolica, di una di queste.
Cresciuto nell’amore ostile dei suoi genitori e nell’attaccamento viscerale alla sua terra, in assenza di sogni e desideri, Caprò vive, in età adulta e senza comprenderli appieno, quelli riflessi del fratello, anima inquieta e sensibile. La sua vita, sempre ai margini della consapevolezza, si muove per inerzia sul terreno spianato dal gretto modello paterno, scandita dal moto regolare delle stagioni. E quando accade qualcosa che inceppa il suo asettico e protettivo pendolo interiore, una fuga illusoria lo soccorre dallo smarrimento e dall’incapacità di sopravvivere all’imponderabile.
In entrambe le edizioni di “Cultura dei legami” – scrive il regista Edoardo Oliva – i nostri spettacoli hanno trovato ispirazione in un naufragio. Due immani tragedie, una nota, l’altra semisconosciuta. In “Luminescenze all’orizzonte” che concludeva lo studio sulla Fine del Titanic, era la massa anonima che si agitava informe e smarrita sulla nave in attesa del tragico naufragio, alternando i suoi spaesamenti in spazi ora vasti ora angusti. Qui in Caprò c’è invece lo smarrimento di un solo uomo, una solitudine, un anonimo contadino di fine ottocento che si agita su un fazzoletto di terra con i pochi oggetti che scandiscono la sua vita. E’ sul questo pezzo di terra che si compie il suo vero naufragio, in attesa di quello che lo consacrerà alla storia”.
Una piccola vicenda umana dunque, ancora sommersa in qualche fondale, che riemerge dal tenero e rabbioso racconto del protagonista: un uomo di più di un secolo fa, con i suoi conflitti, le sue fragilità, le sue responsabilità, le sue colpe, le sue punizioni. Non un eroe quindi, ma un antieroe tragico. O più semplicemente Caprò.
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